Dopo la scomparsa di Silvano sono entrata in un vortice di dolore che mi ha portato ad un inevitabile confitto con la mia macchina fotografica. Ogni immagine che cercavo di realizzare mi ricordava lui. Il rimorso delle foto che nel tempo non gli avevo fatto, dandolo purtroppo per scontato, mi assaliva. Il rimpianto delle immagini che avremmo ancora potuto scattare insieme, le fotografie sul suo cellulare, quelle della sua malattia; fino all’ultimo l’ho fotografato. Non volevo perdere nemmeno un istante della sua giovane vita che velocemente stava fuggendo via.

Tutto quello che il cancro ha “toccato”, la sofferenza che ha investito le nostre esistenze così precarie e fragili, ha letteralmente bloccato per mesi la mia creatività. Mi sono sentita come un poeta senza parole, un pittore senza pennelli, un cantante senza voce.

Grazie al mio ritiro estivo in Sardegna ho timidamente ripreso in mano quella macchina fotografica che sentivo tanto nemica, ostile. Ho iniziato a scattare di nuovo, immagini che rappresentano un germoglio che rifiorisce su un arido terreno devastato da un incendio. Quando la sera tornavo a casa di Anna e Gigi, dopo aver girellato alla ricerca di momenti da fermare, mi sentivo meglio, sentivo che la forza stava tornando.

Macchina fotografica

La mia macchina fotografica e la valigia per un lungo viaggio

Sono in partenza per la palestra fotografica più grande del mondo: New York. La mia quarta volta nella Grande Mela, l’ultima visita fu con Silvano, era il 2012, un anno che ora mi sembra così lontano, distante nel tempo. Sarò ospite della nostra “famiglia americana”, amabili persone (come Anna e Gigi) che hanno deciso di sostenermi in un momento così difficile della mia vita.

New York forse mi aiuterà. Vorrei riprendere a fotografare la vita, non come riuscivo a vederla prima del cancro ma con una consapevolezza (ovviamente) diversa. Mi voglio “allenare” con quella macchina fotografica che per mesi ho sentito ostile. Voglio tornare a fare il lavoro per cui io e Silvano abbiamo sacrificato il nostro tempo, le nostre risorse, abbiamo fatto rinunce.

Voglio tornare a fotografare, per me ma soprattutto per lui. Fu lui a spronarmi, ad incitarmi, a sostenermi quando lasciai un lavoro sicuro per fare della fotografia il mio mestiere. Lo devo al mio grande amore che dal cielo mi guida e cerca, con tutte le sue forze, di farmi andare avanti nonostante, in questo momento, la vita senza di lui mi sembri un vero e proprio inferno.

Nel giorno in cui, lo scorso anno, un dottore mi comunicava per telefono che, per te, non ci sarebbe stato più niente da fare, nel giorno in cui ci sedemmo come sempre sulla nostra panchina, eri vestito con la camicia nera ed il collo ti faceva tanto male, nel giorno in cui tu mi regalasti una rosellina che oggi conservo come un tesoro prezioso, lo stesso giorno partirò per New York, da sola, ma non sarò sola perché tu, amore mio, mi scorri nelle vene, abiti nel mio cuore e niente potrà mai dividerci, nemmeno la morte.